Quando sentiamo parlare di bendaggio funzionale magari in seguito a una comune distorsione di una caviglia, è importante sapere che si fa sempre riferimento a una tecnica di immobilizzazione parziale: la singola articolazione viene infatti messa in scarico, sostenuta, compressa o stabilizzata, limitandola esclusivamente nella direzione di movimento dolorosa o patologica e permettendo, allo stesso tempo, al resto dell'articolarità di essere funzionante e esente da dolore. In questo modo si accelerano notevolmente i tempi di guarigione rispetto ai metodi di immobilizzazione tradizionali come l'ingessatura: il bendaggio funzionale favorisce infatti una rieducazione delle articolazioni colpite evitando quel rischio di atrofia muscolare tipico di quando un arto viene interamente immobilizzato. Oggi questo tipo di tecnica è di uso comune soprattutto nell'ambito della traumatologia sportiva.
La tecnica del bendaggio funzionale impiega bende adesive, estensibili o inestensibili a seconda delle esigenze che, combinate opportunamente, garantiscono alle singole strutture legamentose, tendinee e muscolari una protezione concreta da agenti patomeccanici, senza che l'articolarità fisiologica subisca limitazioni. Proprio per questo motivo, i bendaggi funzionali terapeutici sono ideali in tutte quelle situazioni in cui il danno anatomo-patologico è contenuto o addirittura assente. Qualche esempio? Distorsioni e lussazioni, micro-fratture o lesioni muscolari, anche in presenza di gonfiori (in questo caso si parlerà di bendaggi compressivi, per opporsi all'eventuale formazione di versamenti o ematomi muscolari). L'obiettivo finale è sempre lo stesso: raggiungere la guarigione della lesione senza dover ricorrere all'immobilizzazione totale. Il bendaggio funzionale è efficace anche in ambito di riabilitazione post-guarigione, per ottenere un ripristino precoce dell'articolarità e della coordinazione motoria.
Un aspetto da non dimenticare è che i bendaggi funzionali possono svolgere anche un'importante azione preventiva. Come? Con il cosiddetto taping - dall'inglese tape, nastro - ovvero un insieme di bendaggi messi in atto generalmente per sostenere i primi allenamenti sportivi che seguono un infortunio, così da proteggere le strutture più vulnerabili e delicate rispetto a predisposizioni e sollecitazioni specifiche. Un esempio classico è il taping alla caviglia di un runner che è chiamato in gara subito dopo essere uscito dai postumi di una brutta distorsione. Il taping funzionale non utilizza alcun tipo di benda elastica, ma solo bende inestensibili di stabilizzazione e cerotti salvapelle che vanno rimossi al termine della sessione sportiva.
Un'altra categoria di bendaggi da conoscere sono i bendaggi occlusivi, utilizzati per proteggere una ferita in via di guarigione. Questo tipo di bendaggi consente infatti di mantenere una medicazione su una ferita senza disperderne neanche una goccia: in altre parole, è come se il bendaggio occlusivo sigillasse la ferita che sarà quindi completamente isolata dall'esterno e soprattutto dalla carica di virus, batteri e altri organismi a cui è potenzialmente soggetta. Viene realizzato con materiali che bloccano l'evaporazione della medicazione e non hanno alcun "effetto spugna" assorbente. Si parla di bendaggio occlusivo anche come risposta al disturbo visivo dell'ambliopia - o "occhio pigro": sull'occhio più attivo viene applicata una benda adesiva o un cerotto coprente, per dare maggiori sollecitazioni proprio all'occhio pigro.