Probabilmente il più antico antenato delle mascherine di oggi è la maschera con il naso a becco di uccello con cui venivano raffigurati i medici durante le epidemie di peste del XVII secolo. Anche in quel caso, come nelle mascherine che utilizziamo oggi, questa copertura protettiva serviva a bloccare il passaggio di agenti infettanti. Ma il primo utilizzo registrato di una mascherina chirurgica simile a quelle attuali risale al 1897 a Parigi. Il dispositivo, in quel caso, proteggeva il paziente sotto i ferri da eventuali batteri rilasciati dal respiro del chirurgo. E, a essere sinceri, fino a non molto tempo fa le mascherine sono state appannaggio esclusivo delle sale operatorie e del mondo del lavoro. Le mascherine con maggiore potere filtrante e utilizzate come DPI erano largamente impiegate nel settore delle costruzioni, nell'industria metallurgica e in quella chimica durante operazioni particolarmente delicate, come ad esempio la rimozione di materiale altamente tossico.
Non tutte le mascherine che ci sono oggi in commercio sono uguali ma per imparare a distinguerle basta ricordarsi che ci sono due categorie principali (se si escludono le mascherine di comunità che non richiedono certificazioni): mascherine chirurgiche (dispositivi medici - DM) e filtranti facciali (conosciuti come FFP, acronimo di Filtering Face Piece) come dispositivi di protezione individuale (DPI). Entrambe hanno una funzione di protezione: nel caso delle chirurgiche si proteggono le persone vicine a chi le indossa, nel caso dei DPI si protegge chi le indossa e chi è vicino. In base alle circostanze si può scegliere se sia più opportuno indossare la mascherina chirurgica o quella FFP.
Le mascherine chirurgiche sono composte da vari strati. L'obiettivo principale di questo modello è creare una barriera fisica per evitare il passaggio di fluidi tra la bocca di chi la indossa e l'ambiente esterno. Lo scopo primario contenere l'uscita di droplet e altri residui della respirazione, quindi per proteggere gli altri che sono vicino a noi da eventuali rischi di contagio. Si rivelano molto utili quando le indossano tutte le persone che interagiscono tra loro: se l'uscita di goccioline o droplet è limitata, è sufficiente una protezione come quella offerta dalle mascherine chirurgiche, per bloccare la catena di trasmissione di virus e batteri delle vie respiratorie.
Le mascherine FFP, dispositivi di protezione individuale, sono normalmente conosciute e classificate secondo una sigla USA (N95) o europea (FFP) o cinese (KN95). Vengono definite semi maschere facciali: questo significa che sono in parte realizzate in tessuto, come le chirurgiche, ma a cui si aggiungono stati di materiale ad alto potere filtrante. In commercio a lato della sigla FFP, troverete sempre una cifra, 1, 2 o 3. Cosa significa? All'interno dell'Unione Europea queste mascherine sono state classificate in base alle effettive capacità di filtrazione. Le FFP1 hanno un livello di protezione pari all'80%, le FFP2 del 94% e le FFP3 del 99%. Per le particelle che navigano nell'aria che respiriamo le FFP sono una barriera molto efficace in entrambe le direzioni: dall'esterno verso l'interno e viceversa. Le loro caratteristiche sono definite in uno standard approvato dall'Unione Europea nel 2009, che riguarda soprattutto i parametri che devono superare per essere messe in commercio.
Tutte le mascherine chirurgiche sono monouso e non sono lavabili. Non esiste un protocollo definito che stabilisca un tempo limite di utilizzo se non quello suggerito dall'uso stesso. Nell'arco della giornata la mascherina chirurgica deve essere sostituita più volte. Diverso il discorso invece per le mascherine FFP di cui esistono due modelli in commercio che è bene imparare a riconoscere. Basta guardare bene la confezione: se compare la sigla NR, che sta per "non riutilizzabili", hanno un periodo massimo di uso di otto ore consecutive. Se invece si trova solo la R significa che sono riutilizzabili, al massimo due volte, ma sempre per un tempo massimo di 8 ore consecutive.